Kena: Bridge of Spirits è saltato fuori un po' dal nulla al suo annuncio. Negli ultimi anni abbiamo avuto diversi videogiochi graficamente ispirati e capaci di farci sgranare gli occhi a prima vista, ma nonostante tutto è stato impossibile non rimanere catturati dalle immagini offerte da questo titolo. Maggiore è l'impatto se si pensa che questo videogioco è autoprodotto da un piccolo team indipendente, che ha avuto la stoffa e la fortuna di entrare nelle grazie di Sony da cui ha ricevuto un importante assist come quello di un reveal in uno dei suoi eventi principali. Dopo qualche mese e qualche rinvio, ho finalmente avuto il piacere di mettere le mani sull'esperienza completa che mi ha regalato una piacevole sensazione di scoperta nonostante non si tratti di un'avventura longeva.
In realtà non è stato proprio amore a prima vista. L'impatto visivo non ha deluso le aspettative e, seppur non parliamo di un capolavoro a livello grafico, la scelta stilistica ha permesso ad Ember Lab di essere messa lì tra i grandi produttori e artisti del settore. Diverso è stato l'impatto con il gameplay che ha rischiato di farmi precipitare dall'orlo della delusione prima di darmi la possibilità di farsi scoprire come si deve e, in un certo senso, anche perdonare. Prima di andare nel dettaglio, però, bisogna mettere in chiaro una cosa, specialmente se siete tra quelli che si aspettano un'esperienza rivoluzionaria: Kena non inventa nulla; è una ricetta semplice e perfetta che amalgama meccaniche già viste, in modo sapiente, arrivando così a offrire un prodotto che non vuole strafare, ma che agli occhi del giocatore appare ugualmente ambizioso e pregiato.

In altre parole Kena: Bridge of Spirists sarebbe stato sotto tutti i punti di vista un titolo mozzafiato se presentato un cinque o sei anni fa, ma oggi non è possibile non guardarlo e vedere in esso un pizzico di Horizon, Ghost of Tsushima, Remnant, Ori, un souls-like piuttosto che Zelda. Sia chiaro però che nonostante giocarlo mi abbia ricordato i titoli appena citati, questo non mi ha mai dato quella sensazione di giocare a uno spudorato copia e incolla, ma a qualcosa che comunque conserva un briciolo di originalità. Ciò che tradisce la natura del gioco è solamente il comparto grafico che regala le stesse piacevoli sensazioni di un buon film della Pixar: una grafica "pucciosa", carina e coccolosa così come è stata presentata l'anno scorso. Ciò in cui non brilla è tutto il resto.
L'ambiente di gioco regala spesso colpi d'occhio notevoli, ma la struttura del mondo è, per forza di cose, limitata a tre macroaree esplorabili. Non si tratta di superfici particolarmente estese, ma il team ha saputo sfruttare la verticalità dei paesaggi per arricchire le fasi esplorative. Non aspettatevi dunque di incontrare diversi biomi o d'incamminarvi in una lunga avventura tra panorami differenti perchè avrà tutto più o meno il medesimo aspetto. Per ogni sezione del mondo di gioco viene dedicata una quest principale, da seguire in modo lineare. A tal proposito aggiungiamo subito che l'esplorazione della mappa, nonostante strutturata in modo "libero" e con un ottimo sistema di backtracking pensato per farci recuperare ciò che abbiamo ignorato al primo passaggio, verrà giocata linearmente e presentataci come un bivio con una strada corta che ci porta ad una cassa o ad un mini-puzzle, e un percorso lungo che ci farà progredire nella storia.

Quest'ultima, ancora, non è proprio il ritratto dell'originalità, e si baserà su una ripetitività di meccaniche abbastanza banali. A rompere la pesantezza che il concetto di ripetitività stessa porta con sé, ci sono la narrazione e il combat system. A rischio di diventare io stesso ripetitivo, devo sottolineare ancora una volta che in entrambi i casi non si parla di qualcosa di estremamente originale o vicino alla perfezione, ma entrambi i comparti fanno il loro dovere senza imporsi di dover raggiungere livelli inarrivabili o paragonabili con chi, nell'industria, la fa da padrone. La storia da parte sua è carina e coccolosa esattamente quanto lo è lo stile artistico, ma si lascia andare ad un contrasto con vicende cupe, che spengono l'atmosfera allegra e luminosa che un po' ci aspettiamo (non è necessariamente un fattore negativo). Kena, d'altro canto, è uno spirito guida con il compito di purificare dalla corruzione gli spiriti da essa affetti e aiutarli ad attraversare il ponte che separa il mondo dei vivi e quello dei morti. L'incarnazione della corruzione è rappresentata da veraci piante spinose e nemici antropomorfi fatti di corteccia o simile. Gran parte del racconto scorre via attraverso cutscenes artisticamente d'effetto che richiamano inevitabilmente lo stile Distney. Se avete visto uno degli ultimi, "Raya e l'ultimo drago" noterete inevitabilmente una forte somiglianza, non solo nell'aspetto.
Passando ora al combat system e al gameplay possiamo finalmente parlare di quell'aspetto che mi ha preoccupato all'inizio e rassicurato verso ormai metà avventura. Le sensazioni negative che il gioco mi ha restituito al principio derivavano da un set di animazioni sicuramente molto curate, ma che comunque si rompevano e scattavano tra un movimento e l'altro; veniva poi meno l'immediatezza del comando e abituarsi a come Kena si muoveva mi è risultato più "rognoso" di quanto mi aspettassi. Il salto poi, mi ha dato decisamente problemi in alcune sequenze bastate sul platforming, con un doppio salto che spesso tradisce la prospettiva e finisce con Kena che scivola via da un una sporgenza ormai praticamente sotto i suoi piedi. L'appiglio su una superficie è riservato ad apposite aperture segnalate a' la Uncharted e, al di fuori di quelle, Kena non sarà in grado di scavalcare ostacoli palesemente alla sua portata. Ma a conti fatti questo si è rivelato un qualcosa a cui bisogna semplicemente abituarsi, e devo dire che il level design ha fatto si che questa "convinzione" di non poter far affidamento a meccaniche ad oggi banali non fosse poi così traumatica.
Il combat system si basa completamente sull'uso trasversale del bastone magico, che fa da perfetta arma contundente attraverso attacchi leggeri, pesanti e "speciali", o come arco flettendosi al tirare di una corda magica. Oltre all'aggiunta di una palla esplosiva con cui combattere o interagire nei puzzle ambientali, il combattimento sta tutto nella combinazione di queste meccaniche che neanche si sposano tra di loro per dar vita a diverse combo: tutto qui. Si tratta di una soluzione che fa leva su un'estrema ed efficace semplificazione delle meccaniche di gioco e anche sulla mortalità degli scontri che, in base alla difficoltà scelta, non cambierà l'atteggiamento o l'intelligenza degli avversari, ma renderà semplicemente più potenti i loro attacchi - alle difficoltà più alte il gioco si sforzerà ad assomigliare ad un poco convincente souls. Un ruolo centrale è dato dalle bossfight che si sono rivelate sfide interessanti nonostante pattern di attacco non particolarmente elaborati.
Tutto in Kena si evolve progredendo e non mi ha lasciato deluso, ma piacevolmente colpito. Arrivato ai titoli di coda mi sono detto soddisfatto di quanto giocato e incuriosito su come sarà possibile evolvere il prodotto in futuro. Dalla totale banalità camuffata sotto uno stile artistico da far sgranare gli occhi, siamo arrivati ad un gioco completo, con meccaniche interessanti e a tratti inaspettate. Scoprire abilità nuove porta a puzzle da risolvere in modo più originale e a combattimenti meno lineari seppur non lasciano mai spazio alla creatività.
Sembra strano da dire, ma tra le scelte più azzeccate della produzione va necessariamente citata la durata del gioco. Si tratta di un'avventura che si porta facilmente a termine entro le 10 ore, con un massimo di 5 ore bonus per chi vuol vedere e fare proprio di tutto. La scarsa varietà delle cose da fare nella mappa e la semplicità del gioco non annoiano neanche quando richiedono una maggior ripetitività delle azioni, perchè il tutto è condensato in un'esperienza breve che non ci dà il tempo di sentirci annoiati. Le ultime abilità che rivoluzionano il gameplay arrivano ad un soffio dai titoli di coda, facendo sì che l'evoluzione del gioco ci accompagni fino alla fine così come dunque il senso di scoperta.