2018. Quando meno ce lo saremmo aspettati, alla sola distanza di tre anni dal quarto capitolo, Bethesda ha fuorviato il suo pubblico con l’annuncio di un nuovo Fallout: Fallout 76. Se alla base vengono riproposti i medesimi principi della serie, con i dovuti aggiustamenti, sulla superficie troviamo le vere novità, ovvero una struttura always on-line che rivoluziona drasticamente le meccaniche di gioco. Una mossa coraggiosa, a maggior ragione se proposta ad una fanbase affezionata allo stile classico del franchise, che vede ora offerta la possibilità di interagire con il mondo di gioco attraverso modalità completamente differenti da quelle del passato. Fallout 76, infatti, basa la sua esperienza sulle spalle della sua stessa community, una delle più solide al mondo, e le offre la possibilità di collaborare in un open world in continuo divenire: quest lunghe in cui unire le forze, enormi boss da scacciare dalle terre radioattive e meccaniche PVP che permettono di eliminare un altro giocatore e prendere possesso di tutti i suoi beni. La domanda che ci siamo posti è: “Ma era davvero necessario? E’ quello che cercavamo?”. Scopriamolo insieme in questa recensione.
2102. Mettiamo piede al di fuori del Vault 76 con la sola missione di rendere il mondo un posto sicuro. Un mondo contaminato, fatto di terre infestate di Dio solo sa cosa, carente di risorse primarie e ricco di pericoli. Nel Vault 76 abbiamo imparato tutto quello che c’era da sapere per lavorare sodo e, a seconda del nostro volere, abbiamo potuto unire le nostre forze a quelle degli altri sopravvissuti per ricreare assieme un nuovo sistema, vivo e sano, in mezzo alle terre della Appalachia. Fallout 76 inizia con un tono e dei ritmi completamente differenti da quanto visto nel capitolo precedente, introducendo il giocatore, sin dai primi minuti, in un West Virginia ancora nel pieno del suo declino.
Country Roads, Take Me Home
“Quasi un paradiso, l’Ovest Virginia”. Così intonava John Denver, nel suo pezzo del 1971 riproposto dalla software house americana con tono palesemente ironico. Nel Vault 76, dove tutto ha inizio, procediamo alla creazione del nostro sopravvissuto attraverso l’editor. Questo ci offre, sin da subito, la possibilità di scegliere il colore della pelle, passando poi alle diverse sembianze predefinite e, una volta scelta quella che più incontra i nostri gusti, finalmente ci muoveremo tra le opzioni avanzate di personalizzazione e daremo un volto al nostro alter ego. A nostro piacimento sceglieremo: altezza della fronte, spessore del naso, dimensione degli occhi, stile di barba e capelli e molto altro ancora. L’editor risulta quindi essere molto ricco e variegato, riprendendo la consueta libertà di personalizzazione offerta dalla serie e riuscendo forse a perfezionare il tutto, limando però quegli aspetti che si presentavano lacunosi in passato. Completata la creazione del nostro personaggio, usciamo dalla nostra stanza ritrovandoci nella totale desolazione di un rifugio ormai inutilizzato. A terra ci sono bicchieri vuoti, sui muri sono in bella vista poster e cartelloni, mentre sulla nostra testa sventolano festoni e fluttuano palloncini gialli e blu. E’ stato appena celebrato il “Reclamation Day”, giorno che pone fine a circa venticinque anni di prigionia nel Vault 76 e che decreta un nuovo inizio per tutti i sopravvissuti. L’unica cosa che possiamo fare ora è dirigerci verso l’uscita, seguendo un percorso allestito per l’occasione con banchetti provvisti di elementi essenziali per iniziare la nostra avventura nelle terre contaminate. Stimpack, qualche lettera sparsa di uno dei nostri coinquilini e l’immancabile PipBoy vanno dunque a comporre il nostro inventario di partenza, passando poi per lo stand che offre un mazzo di carte (ma questo fa parte di una meccanica inedita per la serie e ne parleremo più avanti). Mosso il nostro primo passo all’aperto lo scenario che ci troviamo dinanzi è quello di un mondo straziato, tra strade crepate, auto divorate dalla ruggine e carcasse di persone e animali. Il nostro primo compito è quello di dirigerci verso l’accampamento del soprintendente. Immancabile l’HUD con tutte le indicazioni necessarie su schermo, come le missioni attive ben visibili da un lato, bussola, salute e stamina in basso, mentre per lootare si aprirà la tipica lista al centro che ci permetterà di scegliere quale oggetto passare nel nostro inventario e quale ignorare. Insomma un Fallout come tanti altri, se non fosse per la mancanza di tutti quegli elementi che hanno reso la serie indimenticabile e l’aggiunta, nell’angolo in basso a sinistra, qualcosa di insolito: il party di gioco. Beh, dopo tutto, “War has changed”.
Non troviamo alcun npc ad aspettarci una volta raggiunto il suddetto accampamento (dopo tutto siamo i primi ad abitare di nuovo quelle terre dopo decenni): solamente altri giocatori nella nostra stessa condizione, così come avviene per tutto il resto della mappa di gioco. Nonostante la mancanza di personaggi non giocanti sia perfettamente in tema con le circostanze che la trama reclama, questo risulta essere anche uno dei tanti problemi del gioco. Tutta la narrazione infatti avviene tramite la riproduzione di olonastri o attraverso la lettura di testi tra un terminale e l’altro, perdendo tutto il potenziale emotivo che una campagna in singolo avrebbe offerto e allo stesso tempo facendo passare in secondo piano l’elemento che, proprio in un Fallout, avrebbe dovuto essere in primo piano. Riprodotto un olonastro trovato sul posto (appunto) e quindi terminata definitivamente la fase introduttiva del gioco, non ci resta che rimboccarci le maniche ed incamminarci per una nuova avventura tra missioni che ci risulteranno inevitabilmente distanti ed un nuovo sistema di sopravvivenza, che a dirla tutta non è niente male. Consultando il PipBoy, schiacciando “B” oppure “Cerchio”, possiamo tenere sotto controllo in tempo reale gli indicatori del nostro status che avremo comunque sempre a disposizione sull’HUD, tramite un indice generico, in modo tale da non trascurarli.
Anche il V.A.T.S. ha subito la sua piccola evoluzione, anche se, diciamola tutta, non era proprio necessario. Il valore aggiunto che questo sistema di combattimento dava al titolo era puramente di natura strategica. Era possibile fermare il tempo e ragionare su quale parte del corpo del nemico conveniva infierire per creare una situazione di vantaggio tale da farci avere la meglio su di esso. Ora il sistema resta lo stesso, con l’impossibilità di rallentare il tempo, ovviamente questo a causa della natura always online del gioco. Attivare la visuale V.A.T.S. garantirà le stesse identiche informazioni trovate nei capitoli precedenti. Tuttavia, i valori subiranno un continuo sali e scendi su una scala percentuale poiché l’efficacia di un colpo varia in base alla distanza e alla posizione del nemico. Durante uno scontro questo risulta essere inaffidabile e lento da utilizzare, ed è facile che molti giocatori lo ignoreranno completamente.
Amici/Nemici?
Fallout 76 è un videogioco che basa la sua esperienza su una componente sempre, ed inevitabilmente, online. E’ un gioco di cooperazione ma allo stesso tempo un gioco di ostilità. Chat vocale e stickers assumono dunque un ruolo fondamentale: ci aiutano, ad esempio, a convincere un altro giocatore delle nostre buone intenzioni e della volontà di andare avanti e continuare per la nostra strada, oppure ad invitarli in squadra e a collaborare per portare a termine le missioni. Tutto molto bello no? NO! La cooperazione risulta infatti essere un altro punto debole di questa produzione. L’esperienza legata al compimento di una missione non sarà condivisa. Questo vuol dire che qualora scegliessimo di aiutare un amico nelle sue quests saremo poi costretti a riaffrontarla per conto nostro. Per di più ogni loot sarà differente da giocatore a giocatore, come se ci trovassimo in due server differenti. Sarebbe comunque ingiusto parlare solamente dei punti lacunosi del sistema co-op, il quale riesce a dare piccole, e non per questo insignificanti, soddisfazioni. Infatti, sarà comunque divertente organizzare delle battute di caccia e affrontare qualche gigantesco boss altrimenti impossibile da fronteggiare, esplorare l’immensa mappa di gioco e, anche se meno producente di quanto avrebbe dovuto essere, completare le quests di gioco in compagnia. Inoltre, durante il free-roaming sarà facile imbattersi in eventi dove la prerogativa sarà collaborare con gli altri giocatori per intascare generose ricompense.
Una volta riempita la barra dell’esperienza sbloccheremo la possibilità di assegnare un punto abilità alle statistiche S.P.E.C.I.A.L. Tuttavia l’assegnazione non ha nulla a che vedere con il sistema di progressione canonico. Il gioco ci offre infatti un pacchetto, lo stesso che abbiamo ricevuto all’inizio, prima di lasciare il rifugio, nel quale troviamo delle carte da equipaggiare nel nostro mini-albero delle abilità. La scelta che faremo riguarderà solo la sezione nel quale preferiamo progredire, mentre la statistica che ne salterà fuori sarà completamente casuale, in modo tale da non permettere al giocatore di scegliere come evolvere il proprio personaggio. Quindi resta sì un rpg ma che, tuttavia, non ci dà la possibilità di definire quale “ruolo” preferiamo interpretare. Come abbiamo detto, il gioco non basa la sua esperienza esclusivamente sul PVE. Il PVP rappresenta forse il cardine della maggior parte delle sessioni da affrontare, facendovi sentire il peso dell’incertezza e costringendovi a dubitare di ogni singolo girovago presente nella mappa il quale, dopo aver vissuto per più di un ventennio con noi nel Vault, potrebbe benissimo decidere di diventare un criminale e, quindi, di compromettere la rinascita dell’America (enorme buco nella trama?). Ci è infatti capitato spesso di essere attaccati da giocatori di livello superiore, con un equipaggiamento nettamente migliore del nostro, oppure di essere traditi, uccisi e derubati dei nostri averi. La nostra reazione non è stata delle più entusiaste. Come si entra nella meccanica del PVP? Presto detto: raggiunto il livello 5. Innescarle risulta banalmente semplice. Basta infatti colpire con il corpo a corpo un giocatore e da quel momento saranno le ostilità.
Tecnicamente parlando….NO!
Se riuscite a non farvi ingannare dai suggestivi colori autunnali degli scorci del West Virginia, riuscirete sicuramente a notare quanto ci sia di marcio in un motore grafico decisamente datato. Abbiamo messo le mani sulla versione Xbox One X, console che faceva ben sperare per un gioco del genere, e siamo contenti di averlo fatto poiché, di certo, sarebbe accaduto di peggio a livello grafico. Ma, sin dai primi minuti di gioco, ci siamo resi conto che incappare in bug e glitches grafici non è affatto inusuale. Problemi che si sono verificati in continuazione: illuminazione sballata, oggetti in profondità inghiottiti da vuoti neri, texture che impiegavano un’eternità per caricarsi e nemici imbalsamati in posizione retta con le braccia lungo i fianchi. Assolutamente non un titolo all’altezza delle produzioni recenti, e sicuramente per nulla curato come avrebbe dovuto essere un gioco ad alto budget come questo. Il frame rate, inoltre, è completamente instabile, crollando spesso a picco in qualsiasi momento, sintomo forse di un’ottimizzazione poco curata o di server che non reggono il peso di più giocatori contemporaneamente. Non parliamo poi dei freeze di gioco che ci hanno costretto a riavviare più volte e ricominciare quest che avevamo già completato per metà. Frustrante! Su console non si va oltre i 30 fps, certo, non il dettaglio più preoccupante, ma consigliamo comunque di giocare con la visuale in prima persona, poiché quella in terza presenta drop di frames più frequenti. Sebbene il gioco abbia ricevuto una patch di 50 GB al lancio ed una supplementare, della stessa dimensione, durante la prima settimana fixando numerosi difetti, non migliora più di tanto l’esperienza di gioco.