Da quando il fenomeno dei Battle Royale ha iniziato a spopolare fino a conquistare l’era videoludica più recente ne abbiamo viste di tutti i colori, di cotte e di crude. Abbiamo combattuto con pentole sulla testa a farci da elmo e con padelle in mano per colpire e deviare pallottole; abbiamo costruito muri e torri altissime per guadagnare vantaggio sui nostri avversari; abbiamo corso in gas tossici, tempeste elettriche, cerchi di fuoco e zone proibite. Ma una cosa che non avevamo ancora mai fatto fino ad oggi è stato vestire i panni di un mago. E’ questo concept, semplice ed efficace, che contraddistingue di netto il gioco che vi recensiamo oggi: Spellbreak.
Come avrete capito da questa piccola introduzione, Spellbreak è un Battle Royale dai forti connotati fantasy che lancia il giocatore in una vasta mappa tra rovine di roccaforti e piccoli villaggi per affrontare e, nel migliore dei casi avere la meglio, su una quarantina di altri contendenti al titolo. Il piccolo sviluppatore, Proletariat, ha dato alla luce in passato ad un paio di titoli che però non sembrano aver lasciato alcun segno. Con Spellbreak la storia potrebbe cambiare dato che il titolo ha avuto addosso i riflettori per un tempo sufficiente durante le prime build giocabili.
Al primo lancio del gioco il giocatore viene accolto da un breve e basilare tutorial delle meccaniche. Tutti concetti, ovviamente, che è necessario da conoscere prima di lanciarsi allo scontro. Ed è proprio qui che apprendiamo la fonte del nostro potere: i Gauntlet (guanti) e le rune. Prima di buttarci a capofitto nella prima partita ci verrà inoltre chiesto di completare una minima personalizzazione, ma nulla di particolarmente importante dato che quel menù sarà accessibile in qualsiasi momento.
Come funziona il gioco? Premendo il tasto “Gioca” ci verrà chiesto di scegliere una classe primaria per la partita che sta per cominciare tra sei disponibili, ciascuna in riferimento ad un elemento. Le classi si distinguono in Geomante (terra/roccia), Alchimista (veleno), Piromante (fuoco), Folgore (fulmine), Sangue Freddo (ghiaccio) e Cavalcavento (aria/vento). Alla scelta di una di queste classi verrà automaticamente attribuito un guanto magico al nostro mago, da cui potrà trarre vantaggio nella primissima fase della partita. Questo guanto magico primario non potrà essere sostituito durante un match, ma potrà essere potenziato trovando lo stesso guanto di rarità maggiore, oppure sopravvivendo alle varie fasi di gioco, ovvero le restrizioni. Se nel primo caso aumenta solamente l’efficacia del guanto, nel secondo si acquisiscono livelli abilità in grado di mutare la tipologia del colpo. Se questa scelta comporta solamente un adeguamento stilistico, la storia si fa diversa quando parliamo dei talenti. Grazie ai talenti ciascun mago potrà costruirsi la sua personalissima build da combattimento, dato che queste statistiche incidono su resistenza, forza, efficacia degli oggetti e quantità di mana. I talenti appartengono a tre principali classi: Mente, Corpo e Spirito. Dalla combinazione di queste perk, che vengono sbloccate man mano che il livello del nostro mago aumenta, si potrà dunque tirar fuori la perfetta combinazione per il nostro stile di gioco e a quanto pare è una caratteristica che fa la differenza in partita.
Ciascun guanto mette a nostra disposizione un attacco primario e uno secondario, ma forse è meglio definirli “leggero e pesante”, che infliggono un danno sufficientemente bilanciato. Il trucco per avere la meglio in battaglia però non è quello di colpire il nostro avversario più volte, ma di infliggere un danno da combo elementale che possa azzerare quanto più velocemente i suoi hp. E’ proprio in questa meccanica che risiede il cuore del gameplay negli scontri di Spellbreak. Sia a vedere una combo che ad eseguirla, la mia mente è stata riportata ad Anthem, il quale adotta una meccanica simile, veramente facile da intuire e divertente da combinare. In Spellbreak la cosa però è sensibilmente differente dato che le combinazioni sono più numerose e decisamente più creative. Il mio mago può indossare un guanto da Piromante e uno da Cavalcavento e formare un uragano di fuoco, oppure combinare il fuoco con il veleno e sorprendere il nemico in un cerchio di fiamme chimiche, o meglio ancora combinare la nube tossica con del ghiaccio per intrappolare l’avversario all’interno. Questa meccanica, poi, si arricchisce maggiormente se si combinano i proprio poteri con quelli del party di gioco, il quale garantisce fino ad un numero massimo di tre giocatori per team.
Ogni team potrà scegliere in quale anello droppare all’inizio di ogni match. I punti di spawn dal quale precipitarsi sono generati randomicamente e spesso su punti strategici in cui trovare facilmente equipaggiamento. La prima fase però non è sempre tranquilla dato che un punto non è esclusivo di una squadra, ma più team potranno optare per la nostra medesima scelta e contendersi con noi la prima zona di loot. La caduta libera non permette ai giocatori di allontanarsi troppo dal punto di partenza poichè non è possibile planare o rallentare la caduta tanto da poter costruire una buona strategia sul momento. In questo modo è più difficile isolarsi dalla possibilità di un primo scontro nei primi minuti di gioco. Alcune parti della mappa, infatti, restano automaticamente escluse dalla prima fase, ma, nonostante questo, possono essere raggiunte in un secondo momento in base alle necessità o alla strategia dei giocatori.
Ciò che troviamo una volta messo i piedi a terra potrà fare la differenza e, al contrario di molti altri Battle Royale lì fuori, il gioco ci fornisce alcune informazioni in merito alla qualità e alla quantità del loot che possiamo trovare in ciascuna zona. Ben visibili sulla mappa ci sono villaggi e rovine dove è più facile trovare abbondanti quantità tra rifornimenti, come pozioni e scudi, e casse da aprire, ma anche la posizione di almeno una mezza dozzina di Manaforzieri, delle bolle di magia che vanno attivate e che generano loot di rarità elevata dopo circa 20 secondi. Inutile dire che queste ultime fanno gola a decine di giocatori dato che conquistarle significa avere un grande vantaggio nella prima fase. La varietà degli oggetti di gioco è più che soddisfacente e ciascuna runa o statistica che riusciamo ad inserire nella nostra build resta in ogni caso coerente e bilanciata con il resto del gioco.
Il vero problema di questo gioco a mio parere è il sistema di progressione, decisamente incapace di invogliare il giocatore a farsi un'abbondante scorpacciata di partite e di ricompensarlo a dovere. Ogni singola classe tra quelle selezionabili all’inizio della partita ha un suo sistema di progressione dedicato composto da venti livelli ciascuno. Il quantitativo necessario di esperienza, che viene automaticamente tradotto in ore di gioco, per salire da un livello all’altro è ingiustificatamente elevato. Oltre a questi, poi, è presente anche un sistema di progressione strettamente legato al mago, che dunque non dipende da una singola classe. Se salire di livello con un elemento significa guadagnare moneta spendibile in cosmetici ed elementi cosmetici stessi, quello generale fornisce solo ed esclusivamente oro, salvo alcuni titoli da affiancare al proprio gamertag. Ci sono dunque 100 livelli mago da sbloccare più altri 180 livelli derivati dalla somma di ogni specializzazione di classe. Questa scelta avrebbe potuto essere una valida alternativa al canonico battle pass, ma con una così scarsa varietà di ricompense il tentativo di far sentire i giocatori appagati viene meno quasi del tutto.
Dal menù principale è tutt’oggi ancora assente la sezione dedicata ai quelli che vengono chiamati “Capitoli”, probabilmente la versione spellbreakiana di “Stagioni”, che potrebbero rimescolare le carte in tavola e dare una risposta concreta a questa criticità.
L'offerta di intrattenimento di Spellbreak, inoltre, è già impreziosita dal supporto (da noi sempre ben accolto) del cross-platform play, che permette ai possessori di diverse piattarorme di giocare assieme.
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