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God of War Ragnarök: un viaggio degno del Valhalla

20 novembre 2022

9 Novembre 2022: è arrivato il momento di inserire il gioco nella PS5. L’unico suono a rompere il silenzio dell’attesa è il disco all’interno del lettore, impegnato a trascrivere i quasi 90GB di installazione sulla memoria interna della console, ma a un certo punto arriva qualcos’altro: una breve melodia emessa dalla campana di un trombone, e poi gli archi, a chiudere quei 30 secondi di malinconia prima di addentrarci ancora una volta nelle foreste di Midgard.

God of War Ragnarök non ha certo bisogno di presentazioni, ma per i lettori meno informati possiamo dire che si tratta dell’ennesima fatica dei Santa Monica Studios, software house la cui celebrità è dovuta proprio al successo critico e commerciale della saga del Dio della Guerra, iniziata ormai nel lontanissimo 2005 con l’originale God of War.

Nel 2018, il reboot della serie nominato laconicamente God of War ha non solo donato nuova linfa vitale alla serie, ormai ferma sul genere hack ‘n slash da 13 anni, ma ha dato anche inizio a un nuovo ciclo di vita per Kratos, sia dal punto di vista narrativo che da quello del gameplay. God of War 2018 è stato accolto come uno dei migliori giochi per Playstation 4, e questo Ragnarök è ora chiamato a rispettare le aspettative non solo dei fan del Dio della Guerra, ma anche di tutti quelli che, arrivati a questo punto, desiderano un’esclusiva Playstation 5 degna di essere chiamata tale.

La redenzione del dio che divenne padre

God of War Ragnarök è un titolo complesso, denso e stratificato. Per non rischiare di cadere in discorsi contorti e sconclusionati, è perciò necessario un approccio analitico e sistematico per analizzare le sue parti in maniera distinta, e poi tentare di metterle insieme. Dato che parliamo di un action/adventure profondamente story driven, inizieremo proprio snocciolando la componente narrativa.

Selezioniamo “Nuova Partita” per riprendere la storia di Kratos e Atreus dove l’avevamo lasciata, ma qualcosa è cambiato. I rigogliosi alberi di Midgard ora sono spogli, una tempesta di neve imperversa all’interno della foresta e persino il Dio della Guerra ha bisogno di indossare abiti più pesanti per combattere il freddo glaciale: è arrivato il Fimbulvinter, l’inverno senza fine presagio del Ragnarök.

Certo, la mitologia norrena è uno splendido palcoscenico su cui esibirsi, ma esattamente come il prequel del 2018, la trama di questo God of War ruota attorno a un tema molto più vicino alla nostra cultura: il rapporto tra padre e figlio. Atreus, un giovane semi-dio in piena età della crescita, rimasto orfano della madre, dovrà cercare di sviluppare una sua identità senza creare conflitti critici con la sua figura paterna. Dal canto suo, Kratos dovrà invece cercare di mettere da parte il suo istinto protettivo verso il figlio, e imparare a fidarsi delle sue scelte.

Il rapporto tra Kratos e Atreus è il vero "fato" che muove le redini della storia, e dona alla narrativa di Ragnarök una profondità (in quanto a tematiche) che pochi titoli possono vantare al giorno d'oggi. Allo stesso tempo, però, c'è un rovescio della medaglia: il tema padre-figlio ha un peso talmente importante all'interno della storia da risultare a tratti un po’ ingombrante, e alcuni momenti, nel tentativo commuovere i giocatori, sfociano nel lezioso.

Per quanto riguarda la sceneggiatura in sé, libera dalle tematiche di cui sopra, abbiamo davanti una rappresentazione della mitologia norrena discutibile, ma certamente unica e affascinante. Il grande numero di personaggi "chiave" per la storia non permette una caratterizzazione veramente profonda di essi, al contrario di come succede per i protagonisti, ma non si ha mai davvero la sensazione di ricevere poche informazioni, o che manchi qualcosa.

C'è la diffusa opinione, soprattutto da parte della critica videoludica, che la storia di God of War Ragnarök sia di impronta eccessivamente marvelistica, una sorta di "hero movie" con ambientazione mitologica. Con un certo dispiacere, devo dire che da un certo punto di vista è proprio così: per quanto complessi, gli dei norreni sono sostanzialmente trattati come supereroi, ognuno con le sue caratteristiche e i suoi "superpoteri", che non mancano di mettere in mostra ad ogni scazzottata (e di scazzottate ce ne sono molte, in effetti, ma non ci si potrebbe aspettare diversamente da un gioco d'azione).

Nonostante le criticità qui discusse e una vena un po' piaciona della sceneggiatura in sé, la trama ha il grande pregio di non scricchiolare quasi mai, nonostante uno sviluppo piuttosto lungo e complesso, con diversi snodi interessanti e un finale molto soddisfacente, anche se banalotto.

"Gets bigger the more you take away"

Era opportuno mettere in chiaro quanto la sceneggiatura fosse importante per God of War Ragnarök, ma sarebbe allo stesso modo sbagliatissimo minimizzare l'importanza che il gameplay ha per un titolo come questo.

Ragnarök è un gioco story-driven, ma rimane pur sempre un titolo d'avventura e azione, con componenti che ormai, nel gaming moderno, siamo abituati a vedere, soprattutto da parte dei Playstation Studios.

Il gioco si articola esattamente allo stesso modo del prequel del 2018: dopo una breve introduzione, verremo subito catapultati all'interno del nostro "hub world" dal quale potremo scegliere i mondi da visitare. Strutturalmente avremo, quindi, delle mappe sostanzialmente aperte, dentro le quali però progrediremo in maniera piuttosto lineare seguendo gli avvicendamenti della storia. Una formula di gioco assolutamente consolidata e priva di rischi, e molto ricorrente nelle esclusive Sony (rimanendo in ambito PS5 basti pensare a Demon's Souls, o anche Ratchet & Clank).

Su questa struttura pone le sue fondazioni il gameplay vero e proprio, composto da tre elementi principali: esplorazione, combattimento ed enigmi. Queste tre attività si alternano costantemente, e talvolta si compenetrano, mescolandosi, senza che una prevarichi sull'altra. Il bilanciamento nel gameplay è anche favorito dall'eccezionale level design delle mappe, che scandisce il ritmo degli ambienti adatti a una battaglia, come un'arena, affiancandoli a zone più contorte, sviluppate in altezza e piene di dettagli, perfette per risolvere un enigma ambientale.

Parlando nello specifico degli enigmi, la loro qualità riflette ancora una volta la maestria con cui è stato trattato il design del gioco: proprio come nel prequel, dovremo ancora una volta utilizzare le caratteristiche delle nostre armi per trovare una soluzione creativa ad un problema fisico che ci si pone davanti, ma stavolta avremo più strumenti a nostra disposizione per risolvere enigmi che, a parità di complessità, sarebbero risultati impossibili nel primo God of War.

Gli dei non si riposano

Il combattimento di Ragnarök merita un discorso a parte: pur trattandosi sostanzialmente dello stesso, identico combat system che ha reso famoso il primo capitolo, in questo sequel avremo nuove armi, nuovi personaggi giocabili (ebbene sì) e una varietà di nemici che ci inviterà a cambiare spesso stile di combattimento, piuttosto che fare affidamento sempre sulle solite mosse.

Per rimanere totalmente spoiler-free, non rivelerò nello specifico le nuove armi e i nuovi personaggi giocabili, ma basti sapere che la presenza di queste variabili all'interno del gioco non si limita ad aumentare i contenuti dello stesso, ma aggiunge nuovi modi di giocare: potremo risolvere enigmi diversi, affrontare nemici con approcci totalmente innovativi e rendere le battaglie ancor più eterogenee avvicendando le nostre armi a seconda della situazione.

Il sistema di combattimento, come già detto, resta praticamente inalterato rispetto alla sua precedente iterazione, a parte qualche rifinitura qui e là, ma non si può certo dire che questo sia un problema: tutte le lotte filano lisce come l'olio, più epiche che mai, e ogni battaglia ne chiama un'altra in un circolo vizioso di adrenalina: un vero piacere da giocare.

Uno dei principali problemi di God of War nel 2018, a mio parere, era proprio l'enemy design non particolarmente variegato e soprattutto la ripetitività di determinati mid-boss: troll e mangia-anime erano sostanzialmente gli unici nemici potenti che potevamo incontrare lungo la nostra strada, e la frequenza con cui ci si palesavano davanti era stancante, alla lunga.

Fortunatamente, Ragnarök risolve magistralmente questo problema: sì, ci sono comunque dei "mid-boss ricorrenti", ma ora non avremo più la sensazione di affrontare lo stesso nemico per 15 volte durante la stessa avventura, sia perché alcune battaglie coinvolgono l'ambiente, sia perché il numero di nemici è stato considerevolmente alzato rispetto all'esperienza di quattro anni fa.

Un conflitto cross-generazionale

La sostanza di God of War Ragnarök è così tanta e così densa che potrebbe quasi farci dimenticare dell'aspetto più immediato che caratterizza il titolo, ovvero il suo aspetto estetico, ma i ragazzi di Santa Monica sono riusciti a donare al gioco una direzione artistica non solo adeguata, ma persino sovrabbondante, d'impatto, anche se confrontata alla pragmatica mole di contenuti.

Si conferma, ancora una volta, la scelta di utilizzare un unico piano sequenza per l'intero gioco: gli unici cambi d'inquadratura, o "tagli" per così dire, sono rappresentati dai caricamenti successivi ad aver perso una battaglia. Bellissime anche le soluzioni adottate nelle cutscene in cui si cambia personaggio: l'inquadratura rimane la stessa, ma si sposta dietro il nuovo personaggio utilizzando sempre soluzioni diverse: puntare un oggetto che viene raccolto dall'altro, ad esempio, in maniera da creare una transizione pulita ed elegantissima.

Artisticamente, God of War Ragnarök eccelle sotto ogni punto di vista, sia grafico che sonoro, ma la cosa che colpisce ancora di più è l'aspetto tecnico: stiamo parlando di un gioco cross-gen, ovvero disponibile sia su PS4 che su PS5, ed è assolutamente incredibile che un titolo del genere riesca a performare così bene su un hardware uscito, ormai, più di 9 anni fa. La versione PS5 permette di riprodurre il gioco a un framerate più elevato (60 o 120 FPS, ovviamente abbassando la risoluzione in funzione della modalità scelta), a una risoluzione più alta e con dettagli migliori, ma poter giocare Ragnarök su una PS4 del 2013 è un vero miracolo di programmazione.

Ovviamente, avere uno sviluppo a cavallo tra due generazioni crea dei notevoli limiti, e questo appare piuttosto evidente in Ragnarök: la tecnologia grafica adottata dagli sviluppatori è migliorata, ma non mostra pienamente di cosa sia capace l'hardware di PS5. Questo rende il gioco molto gradevole da vedere, certo, ma in termini di dettaglio e complessità dei modelli solo leggermente superiore al suo antesignano.

Un compromesso tecnico in favore di un maggiore successo commerciale, parzialmente giustificato dalle difficoltà di stock che ancora affliggono Playstation 5... eppure, chissà che cosa sarebbero stati capaci di tirare fuori gli artisti di Santa Monica, se avessero avuto a disposizione un hardware di ultima generazione a briglie sciolte.

Conclusioni

( Clicca su uno dei voti per leggerne la motivazione )
10 Gameplay
9.5 Grafica
9.5 Comparto Audio
8.0 Storia/Narrazione
gamepad

Gameplay

La formula già solidissima del titolo del 2018 è ora perfezionata e rifinita al limite del maniacale. Un piacere da giocare dall'inizio alla fine.

Grafica

Uno spettacolo per gli occhi, miracolosamente portato anche sulle console di vecchia generazione. Rimane solo un piccolo retrogusto di amarezza ad immaginare l'incredibile risultato se fosse stato un titolo next-gen only.

Comparto Audio

La meticolosità del lavoro si traduce anche nella precisione dei suoni ambientali, accompagnati da una colonna sonora davvero memorabile.

Storia/Narrazione

Una trama senza dubbio solida, molto commovente e con colpi di scena ben calcolati, ma la visione "supereroistica" della mitologia norrena, unita a scene eccessivamente melense, ne mina parzialmente la potenza.

God of War Ragnarök è esattamente quello che ci aspettavamo: un seguito al God of War del 2018 ampliato, migliorato e corretto sotto tutti i punti di vista, che porta a termine il viaggio di Kratos e Atreus come padre e figlio. Per quanto derivativo e a tratti "commerciale", rimane un'esperienza meravigliosa, che porta finalmente su Playstation 5 (e, incredibilmente, anche PS4) un'esclusiva Sony degna di essere chiamata tale.

9.3

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