Dolore. Nausea. Faccio fatica a tenere gli occhi aperti e, sebbene sia ancora a letto, mi sento come se avessi appena partecipato ad una partita di rugby: pieno di lividi e contusioni. Che ore sono? È più di mezz’ora che cerco di contattare il mio nuovo collega ma il software del mio mobiglas sembra buggato. È vero che questo piccolo bracciale con proiettore olografico è fornito della dotazione base, ma è troppo poco curato per essere un dispositivo così essenziale nella gestione della nave, delle comunicazioni, dell’equipaggiamento e della mappa stellare. Ora è online, ora offline. Ecco. Ci siamo riusciti. Ora dovremmo essere connessi. Appuntamento tra 10 minuti. Ponte 3. Perfetto. Ora devo solo alzarmi.
Non ricordo quasi nulla di ieri ma a quanto pare ho dormito vestito e la mia stanza è nel caos più assoluto, resti di hamburger e lattine sul pavimento: probabilmente avrò bevuto un drink di troppo al bar della stazione. Ho addirittura dormito con il casco. Forse erano due i drink di troppo.
Esco di tutta fretta dall'alloggio e mi incammino verso una delle sale del Ponte 3. Per la strada, però, non posso non notare il distinto stile degli arredamenti di Port Olisar. Sono riusciti a farla sembrare la tipica stazione spaziale di quart’ordine, solo con dettagli migliorati. Un po’ di sporcizia qua e là, piatti con panini ormai induriti dal tempo e in attesa di essere mangiati, o semplicemente distrutti con un colpo di phaser, giusto per finire in bellezza. Nessuno dei distributori automatici della stazione funziona, i display sono spenti e non rispondono a nessun comando. Niente colazione quindi: dovrò aspettare di mangiare qualcosa sulla nave.
Faccio per sedermi su una delle panchine ma la tuta inizia a mostrarmi messaggi del tipo “Premi F per interagire con gli oggetti e tasto destro per eseguire le azioni selezionate”. A quanto pare durante la notte ho inavvertitamente resettato la tuta ed avviato qualche gioco. Di bene in meglio, speriamo che la giornata non mi riservi altre sorprese.
Sono passati 10 minuti ed eccolo che arriva. “theater17” leggo sulla sua testa. Almeno il software di riconoscimento della tuta funziona bene!
Il mio nuovo collega sembra eccitato per qualcosa, si guarda attorno con aria esterrefatta come se vedesse il mondo per la prima volta e, sinceramente, non so cosa possa mai trovare di tanto affascinante o bello in una squallida stazione spaziale come tante.
Scendiamo le scale insieme fino al Ponte 1 e, mentre lui continua ad esplorare Port Olisar, io vado a reclamare la nave. Come sempre i terminali di gestione delle piattaforme sono affollati e tutti trafficano vicino agli schermi, cercando di reclamare le loro navette o addirittura tracciarle nel caso siano perse o rubate. Per la missione di oggi ci hanno assegnato una “Drake Cutlass Black”: navicella commerciale, stiva spaziosa, e armamenti base. Il sistema operativo della stazione è semplice e intuitivo, basta un click su “retrieve” e dopo una breve attesa una voce metallica ci informa che la nostra nave sarà disponibile presso la piattaforma C07. Piacerebbe a tutti se implementassero un overlay nel casco della tuta per la navigazione in ambienti interni, un po’ come i videogiochi, ma questa è la vita reale e per trovare la piattaforma giusta bisogna fermarsi a leggere i cartelli. Piattaforme C07 e C08 trovate: bisogna uscire dalla camera di decompressione in fondo a sinistra.
Sapete cosa non stanca mai delle bettole spaziali come Port Olisar? Il momento in cui le porte della camera stagna si aprono e la luce dei fari della stazione e della stella più vicina inizia ad irradiarvi, la vista mozzafiato del pianeta più vicino e il susseguirsi di attracchi e partenze di navi di ogni tipo, dai più piccoli caccia spaziali alle lussuose navi da trasporto passeggeri, fino alle immense navi cargo, come la Aegis Hammerhead.
Ci avviciniamo alla piattaforma C07 e, quindi, alla nostra nave. Decisamente più grande di un caccia ma pur sempre infinitamente piccola rispetto ad altre come la Hammerhead. Appena arriviamo, “theater17” apre il portellone e, mentre aspettiamo l’apertura, noto con piacere che la nave è fornita di armamenti frontali e di una torretta in alto. Speriamo di non dover usare nulla del genere. La stiva è abbastanza grande da contenere un piccolo veicolo e decine di colli, ci sono portelloni di carico da entrambi i lati. Subito ne testiamo il funzionamento. Tutto in regola, sembra. Nella cabina di pilotaggio ognuno occupa la sua postazione. Per questo viaggio io sarò il pilota mentre l’altro mi farà da copilota.
Appena mi siedo sul sedile del pilota la postazione si muove di qualche metro verso l’alto, dando la possibilità di una visuale più ampia durante le manovre di volo. Accendo la console, tutti i monitor sembrano funzionare, sei più il radar. Insieme al copilota facciamo un check veloce degli scudi, della distribuzione di energia tra armi, difese e sistemi vitali, la quantità di munizioni e degli armamenti installati. Dopo aver ricevuto l’OK dal copilota accendo i motori, e via, dopo pochi secondi lasciamo la piattaforma, ritiriamo i sostegni per l’atterraggio e, dopo aver attraversato gli immensi anelli di Port Olisar, iniziamo a dirigerci verso lo spazio aperto.
Qual è l’utilità del copilota se non può nemmeno condividere rotta e waypoint con il proprio pilota o gestire le comunicazioni in sua vece? Avrebbero dovuto pensarci prima di mandare in produzione il sistema operativo di queste navi. A quanto pare la nostra missione consiste nel recuperare della merce dispersa tra le rovine di un’altra astronave, in avaria in un campo di asteroidi vicini. Imposto la rotta, punto i sensori della nave sull'obiettivo e dopo analisi e calibrazione, come da manuale, eseguiamo un salto quantico a destinazione. Lo spazio sembra contrarsi attorno a noi, la nave, invece, sembra allungarsi con noi dentro. Passano pochi secondi e siamo così, ad aspettare in un limbo la fine del salto. Le luci delle stelle più lontane si muovono attorno a noi, cambiando velocemente la loro posizione. Dopo poco meno di due minuti avvertiamo la sensazione opposta alla partenza. La nave si contrae, lo spazio torna ad essere immenso ed il tremolio della nave dovuto al salto quantico cessa.
Come concordato cedo il comando della nave al copilota, scendo dalla mia postazione e vado a prepararmi nella stiva per l’abbordaggio. Non dovrebbero esserci problemi, ma sempre meglio uscire armati con la propria pistola che rimanere disarmati contro chissà cosa là fuori nello spazio libero.
Mentre sto finendo di prepararmi, i portelli laterali della stiva si aprono e mi ritrovo di fronte ad uno degli squarci nello scafo della nave ormai distrutta. 3… 2…. 1… Un respiro profondo e via, come se mi stessi tuffando in una piscina o in un oceano, salto dalla nave dritto verso l’apertura. Un pò fuori traiettoria ma nulla che i sistemi della tuta non possano correggere. Mi ritrovo così a fluttuare all’interno dei corridoi della navicella deserta, pistola alla mano, alla ricerca del cargo perduto. Sono troppo occupato a cercare di orientarmi per potermi chiedere cosa sia successo alla nave e alla sua ciurma. Senza gravità non c’è un sotto o un sopra, orientarsi è davvero difficile e spesso finisco con lo sbattere o appoggiarmi contro i muri. Forse erano tre i drink di troppo.
Finalmente trovo il pacco, lo raccolgo e così come sono entrato torno nella nostra nave, sbattendo di faccia contro il pavimento della stiva. I portelloni si chiudono e il copilota inizia il viaggio verso Port Olisar. Stremato passo il viaggio steso su uno dei letti dell’astronave.
Una volta arrivati a Port Olisar ci accorgiamo che deve esserci stato un errore o un bug nel sistema di gestione delle consegne. Nonostante il contratto recitasse “consegna a Port Olisar”, il nostro pacco viene respinto più volte da un burbero commesso. Ci accorgiamo così che le coordinate di consegna non corrispondono con il nome della destinazione e quindi ci rimettiamo in viaggio verso un’altra stazione spaziale, questa volta quella giusta. Altro viaggio, altra bettola spaziale.
Atterrati ci dirigiamo verso l’interno ma subito notiamo qualcosa di strano. Sembra esserci un evento speciale, una specie di “flash mob” su tutta la stazione, con gente ferma e immobile con le gambe dritte e le braccia divaricate, quasi a voler disegnare una “T”con il corpo. Forse è una protesta contro qualche bug in qualche famoso videogame ma qui nessuno sembra rispondere alle nostre domande e men che meno il commesso della stazione postale che, non solo non accetta il nostro pacco, ma non ci rivolge nemmeno la parola. Un'intera giornata e ore di lavoro passate senza poter guadagnare nemmeno un centesimo.
Almeno domani potremo goderci una breve visita a Lorville, e fare un giro al nuovo expo.
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